Quanta resilienza serve per affrontare i tanti cambiamenti che affollano il momento storico nel quale viviamo? Tanta.

E quanto amore ci vuole per aiutare chi sta vivendo un disagio, magari dovuto alla non accettazione di se, in un mondo che ci vuole sempre più belli e performanti? Tantissimo.

Peccato che la perfezione non faccia parte di questo mondo che è terreno, quindi limitato e imperfetto. In questi tempi, distratti e fragili, stiamo scoprendo nuove modalità di relazione sociali “asincrone”, online, mediate dalle nuove tecnologie.

Viviamo relazioni che ci stanno lentamente disabituando alla vicinanza e al contatto fisico, complice anche il Covid19. I Social, potrebbe sembrare strano, allentano e indeboliscono i rapporti umani.

In questa ottica abbiamo voluto rivolgere qualche domanda ad una donna, giornalista e conduttrice RAI, che da anni racconta il mondo degli adolescenti senza sostituirsi a loro ma prestando un meraviglioso ascolto. Quell’ascolto di cui i giovani (e non solo loro) hanno bisogno.

Fame d’Amore (e di Resilienza): intervista a Francesca Fialdini

Siamo onorati di poter accogliere nel blog di AD MAIORA, la serie dedicata alle storie di vita e alla resilienza in tutti i suoi aspetti, Francesca Fialdini autrice televisiva RAI che non si stanca di dare voce alle nuove generazioni portando alla luce i problemi, i disagi  ma anche le soluzioni benefiche che possono nascere grazie alle relazioni empatiche. Benefici che nascono dalle relazioni di aiuto.

La conduttrice ci accompagna su Rai Tre nella docuserie “Fame d’amore” in cui affrontando il tema dei disturbi del comportamento alimentare racconta l’esperienza di ragazzi e ragazze che trovano nel cibo e nel loro corpo uno strumento per manifestare mancanze e disagi.

Il tempo di relazione è tempo di cura, così recita il Codice Deontologico dell’ordine nazionale degli Infermieri e questo articolo ci offre la giusta occasione per ricordarlo.

Ecco l’intervista a cura di Federico Feliziani:

 Per la sua esperienza nel racconto di storie che riguardano i giovani ma non solo, in che misura la rarefazione” delle relazioni influisce nella fame damore o fame daffetto?

È una domanda complessa, ma certamente possiamo fare delle considerazioni. Là dove c’è ricchezza di esperienze non c’è tempo per cercarle in un altrove poco fisico come il virtuale. Dove c’è un vuoto di esperienze invece, di scambi, di comunicazione c’è anche un maggiore impatto dei social e del web. E qui le relazioni ci sono, per i nostri giovani. Ma hanno una conformazione diversa rispetto alla realtà esterna, perché le comunicazioni e le relazioni virtuali hanno tempi di gestione differenti (o immediate o slatentizzate), possono camuffarsi, nascondersi, apparire e scomparire (il fenomeno del ghosting ne è un esempio) e questo sicuramente incide nelle emozioni e nella percezione di sé stessi.

È vero che chi ha fame d’amore cerca un conforto in una comunità virtuale, spesso a numero chiuso, in cui sentirsi accettato, accolto, nelle quali scambiarsi consigli, pensieri, immagini che possono incidere sulla formazione del proprio sé e sulle proprie insicurezze. Tuttavia è anche vero che possono anche rappresentare uno strumento di conforto lì dove i ragazzi percepiscono assenze molto grandi nell’ambiente sociale (familiare, scolastico, ecc) che frequentano.

Chi fa fatica per qualche motivo a vivere una ricchezza di esperienze nel mondo fisico può comunque trovare nel virtuale qualcosa di appagante. Non riesco quindi a dare conclusioni affrettate, il punto rimane sempre quanto ci facciamo inghiottire o meno in una forma di consumismo patologico che sui social trova spesso manifestazione.

Sono passati circa cinque anni dalla pandemia da Covid-19. Cosa è rimasto dentro di noi di quella esperienza a tratti traumatica e cosa non stiamo facendo per superare quel trauma?

Credo che l’inconscio collettivo sia stato profondamente segnato ma come lo scopriremo nel tempo. A farne le spese sono stati specialmente i più giovani e loro si stanno già confrontando con ansie, paure, ferite che riguardano quel periodo. Molti hanno sviluppato, come sappiamo dai dati e dalla cronaca, forme patologiche del trauma ma cosa esattamente ci aspetta non so dirlo. Uno sguardo superficiale mi porta a dire che non abbiamo imparato niente. In verità non è così, non può essere così. Anche il ritorno alle ideologie, la chiusura in nuovi nazionalismi e il ruggito contro forme di globalizzazione può essere frutto di quel periodo come se stessimo vivendo un grande rifiuto della globalizzazione e delle sue conseguenze, un bisogno di chiusura per la grande paura che ci è rimasta addosso. Speriamo di non cadere nella trappola del tutto o niente, anche perché la globalizzazione è figlia del mercato che abbiamo costruito. Un mercato però che ha agevolato conoscenza, rapporti, multiculturalità, e molte altre cose positive per la nostra crescita.

Qual è l’ approccio giusto secondo lei per raccontare al meglio lessere umano nelle sue sfumature?

Suppongo sia tenere bene a mente che noi siamo esseri complessi, figli del passato nostro e di chi ci ha preceduto. Che le persone non rappresentano solo loro stesse ma anche la storia dei propri antenati e che l’inconscio ha un grande potere sulle loro scelte visibili. E anche su quelle tacite, inespresse. Che il mondo cosiddetto interiore ci racconta la verità più di quello esteriore. Senza sminuire l’apparenza, ovviamente, che sì inganna ma racconta molto. Insomma la chiave è pensarci come un piccolo frammento di un racconto pressoché infinito. In questo quadro le definizioni assolute di chi ho davanti, non hanno spazio. E i pregiudizi come i giudizi lasciano il tempo che trovano.

Con AD MAIORA – Storie di resilienza raccontiamo tutte quelle storie in cui la capacità di sostenere gli urti della vita ci rende sicuramente più forti. Quale significato dà alla parola resilienza?

Fare qualcosa di costruttivo di ciò che mi ha ferito, inchiodato, lasciato senza fiato. Farlo fiorire. Lucio Dalla direbbe “capitalizzare il dolore“. Questa è la resilienza per me. La vera arte della vita. Restare umani, coltivando empatia e attenzione alle fragilità, per guardare la società e vederne le fragilità. È questa la sfida più importante per ciascuno di noi.

Grazie a Francesca Fialdini per queste bellissime riflessioni e a Federico Feliziani che firma l’articolo regalando a tutto il team questa opportunità unica.