Il coraggio di andare oltre il dolore e fare alcune scelte che pensiamo possano infondere benessere è alla base della storia che stiamo per raccontarvi.    

Protagonista della nuova pagina dedicata alla resilienza è Davide Meneghini, giornalista e comunicatore a tutto tondo – conduttore radiofonico, attore, docente e da qualche anno anche consigliere comunale e Vicepresidente della Commissione consiliare Politiche sportive e giovanili del Comune di Padova.

Davide è nato con l’acondroplasia, forma di nanismo che colpisce braccia e gambe, che fin da giovane lo ha costretto a vivere con alcuni limiti, in particolare quello relativo alla sua altezza. Fino a quando ha deciso che era il momento di cambiare qualcosa.  

Scrive così di sé sulla rivista Millionaire:
Dal 2002 al 2007 mi sono sottoposto ad una serie di interventi di allungamento arti, ben undici operazioni chirurgiche. Ero alto 127 cm e grazie agli interventi sono arrivato ai 157 cm che mi permettono una vita più autonoma e dignitosa. È stata una scelta radicale, sì, ma necessaria per sentirmi libero nel mio corpo e nella mia storia”. 

Anche noi della redazione di “Storie di Resilienza” abbiamo avuto il piacere di raccogliere la testimonianza del nuovo protagonista che guarda avanti progettando un mondo all’altezza dei suoi sogni:

“L’intervento di allungamento degli arti è stato uno dei momenti più duri della mia vita. Non è solo un percorso medico lungo e doloroso, ma una prova psicologica e fisica forte: mesi con i fissatori esterni, riabilitazione faticosa e una solitudine che non tutti riescono a comprendere. Ho affrontato complicazioni, paure, e il giudizio di chi non vedeva oltre l’apparenza. Ma ogni millimetro guadagnato è stato una conquista per una maggiore autonomia e funzionalità, un passo verso una versione di me che volevo finalmente abitare”.

Lei ha detto di voler far conoscere la sua disabilità “in modo normale”. Nella sua carriera e nei diversi ruoli ricoperti, si è sentito osteggiato/ostacolato?  

“Gli ostacoli ci sono stati e non sempre visibili. Far conoscere la mia disabilità ‘in modo normale’ significa non dover giustificare, non doverla spiegare ogni volta, ma mostrarla e farla conoscere in positivo con contenuti, positività e qualità. Eppure, in molti contesti professionali ho percepito resistenze e sottovalutazioni: sguardi, esitazioni, ruoli messi in discussione non per competenze, ma per preconcetti. La vera sfida è stata far capire che la disabilità non è un limite, ma una prospettiva diversa. E quando questa prospettiva viene accolta, si scopre che può arricchire il lavoro, le relazioni, la visione stessa del mondo. Gli ostacoli, spesso sono più culturali che pratici. Il pregiudizio si insinua nei dettagli, nei silenzi, nei sorrisi forzati. Ma ho imparato che la normalità non si chiede: si vive, si mostra, si rivendica con naturalezza”.

In che modo si possono abbattere le barriere culturali che non sono meno importanti di quelle fisiche e architettoniche?

“Abbattere le barriere culturali richiede tempo, ma soprattutto coraggio. Bisogna raccontare, ascoltare, educare, anche quando è scomodo. Il cambiamento non arriva da grandi gesti, ma da piccoli atti quotidiani: uno sguardo diverso, una parola in meno, un pregiudizio in più che cade. La cultura evolve quando smettiamo di correre e iniziamo a capire davvero chi abbiamo davanti. Solo così si costruisce una società più inclusiva, dove la diversità non è tollerata, ma valorizzata. Far conoscere la disabilità con contenuti positivi e quotidiana come normalità è la via più veloce per migliorare i rapporti tra le persone”. 

Nel suo percorso giornalistico ha incontrato ed intervistato molti personaggi famosi.  Ce n’è uno che le è rimasto più impresso e perchè?

“Si, in particolare ricordo con grande affetto l’incontro con Elio Fiorucci: un personaggio straordinario, capace di trasmettere un’energia positiva contagiosa e gentile. Con lui si parlava non solo di moda, ma di creatività, libertà per la bellezza in ogni sua forma. Il messaggio che mi ha lasciato è stato quello di comunicare bene con decisione ma con pacatezza”. 

Che cosa è per lei resilienza?

“Per me la resilienza è la capacità di adattarsi ai cambiamenti della vita senza perdere la propria essenza. È resistere, sì, ma non solo: è trovare dentro di sé la forza di andare avanti anche quando le certezze vacillano, quando tutto sembra crollare. È il coraggio silenzioso di chi, pur attraversando il dolore, non si lascia sopraffare, ma lo accoglie, lo ascolta e lo trasforma in consapevolezza. Resilienza è anche reinventarsi, imparare a guardarsi con occhi nuovi dopo ogni caduta, senza vergognarsi delle proprie fragilità. È quel filo invisibile che ci tiene in piedi nei momenti più bui, che ci guida verso la luce anche quando sembra lontana. Non significa essere invincibili, ma essere autentici, umani, capaci di rialzarsi ogni volta un po’ più forti, un po’ più veri”.

L’intervista si conclude con un messaggio positivo rivolto a quanti stanno attraversando un momento difficile nella propria vita:

“Non bisogna arrendersi. Ogni giorno, anche il più piccolo gesto è un passo avanti: è un segno di come, passo dopo passo, puoi ricostruire te stesso. La strada può sembrare lunga, difficile… a volte dolorosa. Ma hai dentro di te una forza che forse ancora non conosci, basta guardare dentro, con pazienza e gentilezza. Accogli il dolore, accettalo. Usalo come energia per creare qualcosa di nuovo dentro di te. Non serve essere grandi per fare grandi cose. Serve solo sentire il desiderio di andare oltre, di costruire, di resistere. Abbiamo bisogno di vicinanza e di cultura per trasformare le barriere, reali e mentali, in ponti di comprensione e inclusione”.  

Grazie di cuore a Davide Meneghini per aver condiviso la sua storia con noi e con tutta la community di AD Maiora – Storie di Resilienza.